La
sentenza in commento rappresenta uno degli arresti giurisprudenziali più interessanti
sulla questione riguardante l’introduzione nel giudizio di appello di nuovi
documenti e mezzi di prova, perché contribuisce a tracciare chiaramente il
diverso regime di preclusione operante nel rito processuale ordinario e in
quello del lavoro.
A
seguito della l. 134/2012, infatti, è stato modificato il terzo comma dell’art.
345 c.p.c. che attualmente stabilisce <<Non
sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi
documenti, salvo che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli
nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile>>.
La versione ante-riforma del testo prevedeva, invece, anche l’ulteriore ipotesi di ammissione di nuovi documenti in appello qualora questi fossero stati valutati dal collegio indispensabili ai fini della decisione della causa.
La versione ante-riforma del testo prevedeva, invece, anche l’ulteriore ipotesi di ammissione di nuovi documenti in appello qualora questi fossero stati valutati dal collegio indispensabili ai fini della decisione della causa.
Pertanto,
se a seguito della riforma del 2012 il presupposto
dell’<<indispensabilità>> risulta ormai abolito per le impugnazioni
che seguono il rito ordinario, non è così invece per i giudizi sottoposti al
Giudice del Lavoro.
Quest’ultimi seguono la disciplina dettata dall’art. 437 c.p.c. che, al secondo comma, prevede ancora la possibilità che il collegio – anche d’ufficio – possa ammettere nuovi documenti o mezzi di prova considerati indispensabili ai fini della decisione della causa.
Quest’ultimi seguono la disciplina dettata dall’art. 437 c.p.c. che, al secondo comma, prevede ancora la possibilità che il collegio – anche d’ufficio – possa ammettere nuovi documenti o mezzi di prova considerati indispensabili ai fini della decisione della causa.
La
vicenda in esame traeva origine dall’impugnazione di una sentenza resa nei
confronti di alcuni dipendenti delle Ferrovie dello Stato, la cui domanda
relativa al riconoscimento di mansioni superiori e al pagamento delle
differenze retributive veniva rigettata perché ritenuta infondata dal giudice
di prime cure.
Nel
corso del giudizio di appello, i ricorrenti producevano ulteriore documentazione
a sostegno del gravame. Sull’eccezione di inammissibilità sollevata dalla
controparte, la Corte di Appello ha stabilito preliminarmente che: <<Gli ulteriori documenti versati nella
produzione di appello sono stati depositati in violazione del divieto posto dal
comma 3 dell’art. 345 c.p.c. La nuova formulazione statuisce il divieto
assoluto di ammissione di nuovi mezzi di prova e di produzione di nuovi
documenti, a meno che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli
nel giudizio di primo grado per causa non imputabile ad essa … Con la nuova
formulazione dell’art. 345 c.p.c. , non possono in nessun caso essere ammesse
nuove prove, costituite o costituende…>>
A
tale affermazione la Corte fa seguire una doverosa precisazione, che
costituisce il punto di maggiore interesse della presente analisi: <<Né gli appellanti hanno dedotto profili di
indispensabilità, ai sensi dell’art. 437, comma 2, c.p.c., in guisa da provare
che i nuovi documenti fossero talmente necessari ai fini della decisione, allo
scopo di dissipare un perdurante stato di incertezza su fatti
controversi>>.
La
Corte attraverso questo inciso ha avuto il merito di far trasparire le
peculiarità tipiche del rito del lavoro, che non risultano essere state
modificate dalla riforma del 2012.
Nel
giudizio di appello in materia di lavoro, infatti, la questione
sull’ammissibilità di nuovi mezzi di prova e documenti va risolta sulla base di
un “giudizio di indispensabilità”,
come prevede l’art. 437, comma 2, c.p.c. che è norma speciale rispetto all’art.
345 c.p.c.
In tali ipotesi il giudice, oltre a quelle prove che le parti dimostrino di non avere potuto proporre prima per causa ad esse non imputabile, è abilitato ad ammettere, nonostante le già verificatesi preclusioni, solo quelle prove che ritenga – nel quadro delle risultanze istruttorie acquisite – indispensabili, perché “suscettibili di una influenza causale più incisiva rispetto a quella che le prove, definite come rilevanti (cfr. art. 184, comma 1; art. 420, comma 5), hanno sulla decisione finale della controversia.
In tali ipotesi il giudice, oltre a quelle prove che le parti dimostrino di non avere potuto proporre prima per causa ad esse non imputabile, è abilitato ad ammettere, nonostante le già verificatesi preclusioni, solo quelle prove che ritenga – nel quadro delle risultanze istruttorie acquisite – indispensabili, perché “suscettibili di una influenza causale più incisiva rispetto a quella che le prove, definite come rilevanti (cfr. art. 184, comma 1; art. 420, comma 5), hanno sulla decisione finale della controversia.
Le
prove “indispensabili” sono quelle capaci, in altri termini, di determinare un
positivo accertamento dei atti di causa, decisivo talvolta anche per giungere
ad un completo rovesciamento della decisione cui è pervenuto il giudice di
primo grado, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite (sent. 8203 del 20
aprile 2005) richiamato anche da giurisprudenza successiva.
Anche
recentemente la Corte, sempre a Sezioni Unite, con la sentenza n. 10790 del 4
maggio 2017 ha chiarito che “prova nuova indispensabile è quella in grado di
eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta
dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di
dubbio oppure provando
Sulla
scorta dei richiamati principi, la Corte di Appello di Napoli ha fatto corretta
applicazione delle regole processuali affermando l’inammissibilità della
produzione dei nuovi documenti di parte appellante, in quanto prove non idonee
a fornire un contributo essenziale.
Avv. Francesco Giordano
Salerno
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