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Omicidio stradale tra condotta ed evento: la soluzione delle Sezioni Unite



L’ordinanza della Quarta Sezione penale in esame risulta particolarmente innovativa perché dimostra come la giurisprudenza – questa volta col sostegno di ampia dottrina - abbia compiuto diversi passi in avanti sulla spinosa questione relativa all’individuazione della legge penale applicabile nei casi in cui tra la condotta e l’evento intercorra un arco temporale durante il quale entri in vigore una norma penale che sanziona il medesimo reato in termini più sfavorevoli.

In materia, infatti, si contrappongono due tesi: da un lato, la dottrina aderisce al c.d. <<criterio della condotta>>, secondo cui il reo deve essere punito sulla base della pena in vigore all’epoca in cui vi è stata la condotta; dall’altro lato, la giurisprudenza sostiene il c.d. <<criterio dell’evento>>, per cui il tempus commissi delicti deve essere individuato al momento in cui il reato si è consumato (con l’evento morte, ad esempio).

Il più feroce scontro tra dottrina e giurisprudenza si è consumato nel maggio 2015, quando con la sentenza Sandrucci (n°22379) la Suprema Corte di Cassazione accordò prevalenza al c.d. criterio dell’evento.

Si trattava di un giudizio in cui al sig. Sandrucci, in qualità di direttore di uno stabilimento Philips, venivano imputati i reati di omicidio colposo e lesioni colpose aggravate commessi nei confronti di alcuni lavoratori deceduti nel 2009 per mesotelioma pleurico (malattia, per così dire, “firmata” dall’amianto). Il problema sorse poiché nel 2006 e poi nel 2008 , prima del decesso delle vittime, il legislatore modificò il comma 2 dell’art. 589 c.p. aumentando la cornice edittale della pena.

La Cassazione, partendo dalla premessa che i reati di evento si perfezionano con il verificarsi dell’evento stesso, ha affermato che il trattamento sanzionatorio era stato correttamente determinato facendo riferimento ai limiti edittali previsti dalla legge in vigore alla verificazione dell’evento, ovvero alla data in cui si erano verificati i decessi, sebbene la norma fosse più sfavorevole per gli imputati. In particolare, nei casi di decessi correlati all’insorgenza di patologie “professionali”, in cui l’exitus spesso si determina a distanza di tempo, rispetto al periodo in cui si sono verificate le condizioni per la sua insorgenza in ambito lavorativo, non è prospettabile l’applicazione retroattiva di una legge più sfavorevole ma l’applicazione della legge vigente al momento della consumazione del reato, che coincide con la morte della persona offesa.

In sintesi, il principio affermato nella sentenza Sandrucci stabiliva che per i “reati di evento” il tempus commissi delicti va collocato al momento della consumazione del reato e, nella specie, trattandosi di reato a forma libera, tale momento coincideva con il verificarsi dell’evento tipico (ovvero il decesso).

Ancora oggi il dibattito in materia sembra non essersi affatto sopito, soprattutto per le diverse critiche che ha ricevuto la c.d. “sentenza Sandrucci”.
L’ordinanza di rimessione in commento, infatti, si pone in netto contrasto con i precedenti giurisprudenziali, affermando che la corretta individuazione del tempus commissi delicti va applicata caso per caso e nel rispetto dei principi costituzionali, del diritto europeo e della giurisprudenza della Corte E.D.U.
 
Sebbene l’incipit dell’ordinanza in commento specifichi che la ratio della decisione non si atteggia a voler dettare un indirizzo generale, la direzione in cui si è mosso il giudice rimettente appare di buon senso perché, lungi dall’aderire acriticamente al precedente giurisprudenziale del “caso Sandrucci”  o alle teorie sostenute dalla dottrina, ha compiuto un’attenta analisi del caso sottopostogli che riguardava la morte di un pedone conseguente a lesioni cagionate dal conducente di un veicolo, decesso avvenuto a distanza di alcuni mesi dall’investimento.
 
Il caso riguardava un soggetto che, alla guida del proprio veicolo, in data 20 gennaio 2016 investiva un pedone. Quest’ultimo veniva soccorso ma il 28 agosto successivo si verificava il suo decesso. Il ricorrente lamentava violazione di legge in riferimento al fatto che il reato ascrittogli ex art. 589-bis c.p. era stato introdotto in epoca successiva alla condotta contestata.


La Corte dapprima compie un’ampia premessa, molto interessante, sulla ricorribilità per Cassazione della sentenza di patteggiamento ex art. 444 c.p.c. per ragioni inerenti alla pena. Viene in risalto il concetto di “pena illegale” che, lungi dal riferirsi esclusivamente al trattamento sanzionatorio che si collochi fuori della misura determinata dalla legge, è comprensivo anche dell’ipotesi in cui la pena applicata in concreto rientra in tale misura, ma si fonda su parametri astratti che nel frattempo sono stati modificati; e ciò pur quando il trattamento sanzionatorio sia frutto della volontà delle parti formalizzata attraverso il patteggiamento. Nel caso de quo, la pena era stata pattuita in misura tale da rientrare sia all’interno dei limiti edittali in vigore al momento dell’evento (ossia del decesso della persona offesa, quando era già in vigore l’art. 589-bis c.p.), sia all’interno dei limiti più favorevoli vigenti al momento della condotta (quando l’imputato cagionò per colpa l’incidente).

Fatta questa premessa, la Corte entra nel vivo della questione ma non manca di precisare le conseguenze sanzionatorie che sarebbero derivate all’imputato da un diverso calcolo della pena.
Ed infatti, gli estremi della fattispecie contestata (art. 589-bis, comma 1, c.p.) sono compresi fra 2 e 7 anni di reclusione, esattamente come quelli stabiliti dall’art. 589, comma 2, c.p. nel testo vigente prima dell’entrata in vigore della modifica e concernente il delitto di omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla circolazione stradale. La Corte precisa però che, mentre in quest’ultimo caso era configurabile una circostanza aggravante del delitto di omicidio colposo (soggetto a giudizio di bilanciamento ex art. 69 c.p.), nel caso dell’art.589-bis c.p. bisogna parlare invece di ipotesi autonoma di reato.

L’illegalità della pena, nel caso de quo, si riscontra nel diverso trattamento sanzionatorio applicabile, la cui scelta dipende inevitabilmente dall’adesione all’una o all’altra “teoria”. Infatti, applicando l’art. 589-bis c.p. il Giudice ha determinato – grazie al computo delle attenuanti generiche – una diminuzione di un terzo rispetto alla pena minima edittale (passata da 2 anni a 1 anno e 4 mesi). Invece, se avesse applicato il previgente art. 589 (secondo cui costituiva un’aggravante aver provocato la morte di una persona mentre si era alla guida), grazie al c.d. giudizio di bilanciamento delle attenuanti e anche alla pena minima edittale più bassa (6 mesi in caso di giudizio di equivalenza) la pena minima applicabile sarebbe scesa addirittura a 4 mesi (considerando la prevalenza delle attenuanti generiche).

Venendo al merito della questione, la Corte preliminarmente chiarisce quale sia l’indirizzo prevalentemente seguito dalla giurisprudenza: per i reati di evento, la loro commissione si verifica al momento in cui l’evento si verifica anche laddove ciò avvenga a distanza di tempo dal momento della condotta (c.d. “criterio dell’evento).
Premettendo che le disposizioni del previgente art. 589, comma 2, c.p. risultavano sicuramente più favorevoli per l’imputato, il problema di fondo si pone nell’individuazione del “tempus commissi delicti” in relazione alla diversa connotazione che la commissione/consumazione assume nei reati di evento (colposi) a forma libera.

In questo caso, i Giudici della Cassazione hanno ritenuto di aderire al criterio della condotta in riferimento alla fattispecie del delitto di “omicidio stradale”.

Ed invero, preliminarmente la Cassazione tiene a precisare che “l’approccio ermeneutico fin qui illustrato presenta notevoli controindicazioni con riferimento a fattispecie del tipo di quella che forma oggetto del presente giudizio”.
Una rigorosa adesione al ragionamento posto a base della sentenza Sandrucci implicherebbe, infatti, che anche in presenza di una condotta – nella specie istantanea, anziché “di durata” – posta in essere (oltretutto per colpa) sotto il vigore di una disciplina legislativa più favorevole in punto di trattamento sanzionatorio, trovi applicazione la legge penale in vigore al momento dell’evento, intervenuto a distanza di tempo, pur quando essa preveda per il reato de quo conseguenze sanzionatorie più severe rispetto a quelle precedentemente vigenti”.

Questa è anche la posizione assunta dalla dottrina prevalente, che sostiene il c.d. criterio della condotta opinando che, se fosse applicabile il criterio dell’evento, il soggetto agente non sarebbe in grado di adeguare la propria condotta alle mutate prescrizioni di legge.

Come insegna la migliore manualistica, “la soluzione del problema del tempus commissi delicti non può prospettarsi in generale in relazione a tutti gli istituti, ma va fornita di volta in volta tenendo conto delle esigenze sottese a ciascuno” (Fiandaca – Musco, Mantovani). Inoltre, come affermato dalla Corte Costituzionale con sentenza n°364 del 1988, l’esigenza sottesa al principio di irretroattività della norma sfavorevole è quella di tutelare le libere scelte dei consociati, e in definitiva la loro libertà di autodeterminazione, rendendo prevedibili le conseguenze giuridico-penali delle condotte. Ebbene, se è questa l’esigenza sottesa al principio in parola, “non si vede proprio come l’adesione al criterio dell’evento potrebbe contribuire a soddisfarla: il momento in cui si orientano le proprie scelte è evidentemente quello in cui si realizza la condotta, e non certo quello in cui, dopo averla completamente esaurita, si assiste da inerti spettatori al lento venire a galle delle sue conseguenze negative” (Fiandaca – Musco, Mantovani, Padovani).

Ne deriva che l’interpretazione dell’art. 2 co. 4 c.p., effettuata in maniera conforme all’art. 25 co. 2 Cost. e all’art. 7 C.E.D.U., impone al giudice di individuare il tempus commissi delicti sulla base del <<criterio della condotta>> (Zirulia, in “diritto penale contemporaneo”).

In data 19 luglio 2018, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha ritenuto corretto il ragionamento seguito dalla Quarta Sezione nell’ordinanza di rimessione.

Le Sezioni Unite, infatti, hanno stabilito che al caso de quo “trova applicazione il trattamento sanzionatorio vigente al momento della condotta”.

Avv. Francesco Giordano

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