Ponte Morandi: analisi sulla revoca
della concessione
1.
Premessa
Il
Governo italiano – espressione del potere esecutivo – dinanzi alla drammatica
vicenda del ponte “Morandi” di Genova ha assunto una posizione netta e
rigorosa, destinata ad incidere profondamente sulle sorti del contratto di
concessione stipulato con la società Autostrade per l’Italia.
Il
Ministero dei Trasporti ha già avviato la procedura finalizzata a risolvere la
concessione stipulata nel 1999 con Autostrade per l’Italia S.p.A., recentemente
prorogata ad opera del governo Renzi fino al 2042.
Alcuni
giuristi hanno criticato l’intervento del Governo, reo di aver sconfinato nell’area
del potere giudiziario riservato alla Magistratura. Altri, invece, hanno giustamente
osservato che lo scopo del potere giudiziario non è quello di arrivare per
prima lì dove dovrebbe intervenire per ultimo, come extrema ratio. Lo Stato ha tutti i poteri/doveri necessari per
intervenire non solo al fine di evitare ulteriori vittime, ma anche per
preservare beni giuridici particolari, quali ponti e autostrade, necessari
per garantire un pubblico servizio.
2.
Distinzione tra revoca, recesso, risoluzione,
rescissione, annullamento e decadenza
Fatta
questa premessa, vorrei fare brevemente chiarezza sulle “scelte lessicali”
adottate in questi giorni dai mass media.
L’utilizzo
indiscriminato di tali termini in tv e sui giornali ha determinato una “scorretta
informazione” nei confronti del pubblico, intimorito quando alcuni giornali affermano
che lo Stato dovrà pagare 20 miliardi di € di indennizzo al concessionario.
Vediamo, allora, cosa c’è
di vero, analizzando singolarmente i termini giuridici che ci interessano: recesso,
risoluzione, rescissione, annullamento, revoca e decadenza.
-
Prima ipotesi:
il RECESSO.
Il
Recesso è disciplinato dall’art.
1373 del Codice Civile e costituisce una specifica pattuizione che le parti
possono inserire nel contratto. La parte in favore della quale è prevista la
facoltà di recesso può decidere – in qualsiasi momento – di sciogliere il
contratto, a prescindere che vi sia stato l’inadempimento della controparte.
Con
l’esercizio del recesso il contratto cessa di produrre i suoi effetti ex nunc, cioè per il futuro, ma quelli
già prodotti restano salvi.
-
Seconda ipotesi:
la RESCISSIONE.
La
Rescissione è un istituto di diritto
privato disciplinato dall’art. 1447 e ss. del Codice Civile e riguarda la
possibilità – stabilita dalla legge – per una parte di liberarsi dal contratto perché
l’altra parte le ha imposto delle condizioni ingiuste abusando delle sue
particolari condizioni di debolezza (stato di pericolo o stato di bisogno).
La
rescissione può essere richiesta al
Giudice quando vi sia una sproporzione tra le prestazioni dei due contraenti,
conseguente all’approfittamento che la parte forte del contratto ha esercitato
sul contraente debole.
-
Terza ipotesi:
la RISOLUZIONE.
La
Risoluzione per inadempimento è
disciplinata dall’art. 1453 del Codice Civile e costituisce un rimedio che
la legge riconosce alla parte “diligente”, consentendole di svincolarsi dal
contratto se l’altra parte contraente non ha adempiuto ai suoi obblighi.
Il
Codice Civile stabilisce che l’inadempimento, per giustificare la risoluzione,
deve essere “grave” e tale valutazione spetta al giudice di merito.
La
parte diligente ha due scelte: chiedere la risoluzione del contratto oppure, se
ha ancora interesse a proseguire il contratto, chiedere l’adempimento “coatto”.
La
legge, in ogni caso, riconosce alla parte diligente il risarcimento del danno.
La
differenza tra risoluzione per
inadempimento e recesso sta nel
fatto che il recesso è una facoltà che prescinde totalmente dall’inadempimento
della controparte. La risoluzione,
invece, è motivata dall’inadempimento.
-
Quarta ipotesi:
la REVOCA
Nel
Codice Civile non esiste una definizione di revoca, tranne in riferimento a particolari istituti. La revoca, infatti, è un istituto di
matrice amministrativista, disciplinato dall’art. 21-quinquies della legge
n°241 del 1990 (c.d. legge sul procedimento amministrativo).
La
revoca non riguarda il contratto,
bensì il provvedimento amministrativo emanato dalla P.A., nei cui confronti la
revoca costituisce un “provvedimento di secondo grado”, idoneo a incidere con
effetto ex nunc.
Il
provvedimento può essere revocato per sopravvenuti motivi di pubblico
interesse, in caso di mutamento della situazione di fatto non prevedibile al
momento dell’adozione del provvedimento oppure in caso di nuova valutazione
dell’interesse pubblico originario.
La
P.A. che revoca il provvedimento deve indennizzare i soggetti interessati.
-
Quinta ipotesi:
l’ANNULLAMENTO
L’annullamento di diritto amministrativo è disciplinato dall’art. 21-octies della
Legge n°241 del 1990 e riguarda il provvedimento amministrativo illegittimo
che può essere annullato d’ufficio per ragioni di interesse pubblico, entro un
termine ragionevole.
Anche
l’annullamento è un c.d. “provvedimento
di secondo grado” ma, a differenza della revoca, produce effetto ex tunc andando a travolgere “a monte”
il provvedimento illegittimo emanato. Altra differenza riguarda i vizi del
provvedimento sottoposto a revoca o ad annullamento: il primo è un
provvedimento legittimo che viene revocato per il mutamento dell’interesse
pubblico da perseguire, il secondo è invece un provvedimento illegittimo ab origine. Differenti sono anche gli
interessi dei soggetti coinvolti: mentre nella revoca si può parlare di
affidamento ingenerato nel privato, stesso discorso non può farsi nei casi di
provvedimento illegittimo annullato.
- - Solo al fine di fornire una panoramica
completa e limpida, vorrei infine sottolineare le differenze tra “revoca” e
“decadenza”.
La decadenza si
configura come atto di mera natura accertativa perché, al mancato esercizio di
un diritto da parte del privato entro un termine fissato, opera automaticamente.
Decadenza e revoca
hanno in comune l’effetto di estinguere il provvedimento amministrativo per
ragioni di merito e non di legittimità. La decadenza, a differenza della
revoca, ha natura sanzionatoria che deriva dalla violazione di clausole
impositive di obblighi nei confronti del destinatario. La decadenza, infine, ha
un minor ambito di discrezionalità (si dice, infatti, che sia “vincolata”)
rispetto alla revoca. Tali principi sono stati ribaditi dal Consiglio di Stato
con la sentenza n°973/96.
4.
Conclusioni
Alla
luce di quanto detto, ritengo che il termine
corretto da utilizzare quando si parla della vicenda Autostrade sia quello di “Risoluzione per Inadempimento” ex art. 1453 c.c.
Tale interpretazione si
basa sulla norma di cui all’art. 176, comma 7 del Codice degli Appalti (D.Lgs.
50/2016), che espressamente stabilisce: “7.
Qualora la concessione sia risolta per inadempimento del concessionario trova
applicazione l'articolo 1453 del codice civile.”
La tesi testé
illustrata è sostenuta anche da un noto giurista come Guido Alpa: (link all'articolo)
Pur non volendo entrare
nel merito delle pattuizioni contrattuali del caso de quo, sarebbe interessante valutare anche la liceità di alcune
clausole inserite nel contratto di concessione con Autostrade per l’Italia, che
presentano profili di vessatorietà (e che per questo sarebbero nulle).
In conclusione, per
risolvere la concessione lo Stato Italiano non dovrebbe pagare alcun indennizzo
ma, al contrario, avrebbe diritto a essere risarcito dalla concessionaria
Autostrade per l’Italia, qualora venga dimostrato in giudizio che il crollo del ponte sia derivato dall'omessa manutenzione.
Studio Legale Francesco Giordano
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